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Non la chiameremmo ricerca

anamnesi

“Se sapessimo (esattamente) quel che stiamo facendo, non la chiameremmo ricerca”     (Albert Einstein)

La scienza moderna

La scienza moderna da lungo tempo si avvale della matematica e della statistica. Formula esperimenti che siano descrivibili in numeri, per poter su di essi operare verifiche misurabili. Qualcuno arriva a dire “Ciò che è misurabile è un fatto, ciò che non è misurabile è un’opinione”. L’ultima frase suona talebana: perché esistono molte cose che sono in tutta evidenza dei fatti, anche se non sono misurabili (almeno con i criteri di un certo momento storico).

In generale la scienza moderna ritiene avvalorabile come scienza solo quanto è sottoponibile a esperimenti ripetibili, sui quali si possano razionalmente trarre delle deduzioni. Dunque razionalità (cioè matematica e statistica) e ripetibilità sono delle condizioni irrinunciabili per poter parlare di scienza.

L’Arte della Medicina

La Medicina è dunque qualcosa che, a rigore di enunciati, non è una scienza. Il medico ha di fronte a sé un paziente, un individuo unico, costituito in quel preciso momento da un insieme di caratteristiche infinite; e sul quale il medico non può fare esperimenti ripetibili. Ecco perché la Medicina è un’Arte del conoscere e dell’operare in modo diverso dalla scienza oggi corrente. La conoscenza medica si basa sulla razionalità, ma anche sull’intuito.

Risonanza: Musica e non solo

Esiste un modo di conoscere per immedesimazione intuitiva, che possiamo pensare come risonanza. La risonanza è un principio scientifico ben dimostrato di Fisica (Acustica, Elettromagnetismo). L’esempio più semplice, e spesso citato, è quello di una corda di chitarra, ad esempio il LA. Accordiamo il LA di una seconda chitarra ad orecchio, quando pizzicandole percepiamo che hanno lo stesso suono. Ma esiste un altro metodo. Pizzicando (facendola perciò vibrare) il LA della prima chitarra, guardiamo se il LA della seconda chitarra a sua volta, e senza che la tocchiamo, entra in vibrazione. Se la vediamo vibrare, allora possiamo dire che ri-suona con quella della prima chitarra. Risuonare è dunque avere lo stesso suono, la stessa frequenza oscillatoria di quelle due corde.

Neuroni e campi elettromagnetici

Vale anche per i campi elettromagnetici. I campi elettromagnetici dei nostri neuroni e vari organi del nostro organismo hanno indubbiamente le loro frequenze elettromagnetiche. Quando il medico esperto entra in risonanza con un paziente, può intuitivamente rendersi conto dello stato di salute del paziente stesso. Questa non è magia, è scienza, ancorché spesso non ancora misurabile. Non è solo lo studio teorico che rende medici. E’ lo studio quotidiano su ogni paziente che ogni medico fa nel corso degli anni, a costituire il suo bagaglio di esperienze. Una parte di tali esperienze è ben dicibile e razionalizzabile, ma un’altra parte entra nella conoscenza intuitiva del medico; e può anche darsi che una parte di tale conoscenza, nel corso della sua vita, non sia affatto razionalizzata.

Cosa può svelarci la Psicologia?

Esistono esperimenti di psicologia che possono chiarire quanto ho sopra detto.

Hanno fatto giocare a carte dei volontari SENZA spiegare loro quali erano le regole per vincere. I partecipanti tiravano a caso le carte, e lo psicologo si limitava solo a dire quale dei giocatori vinceva quella partita. Da un certo momento in poi, i giocatori – pur senza ancora aver capito le regole del gioco – iniziavano a tirare le “carte giuste” e a vincere. Passato ancora altro tempo giocando così le carte giuste, alla fine i giocatori capivano razionalmente ed erano in grado di dire quali erano le regole del gioco e a spiegare come si faceva a vincere. Questo esperimento di Psicologia, non somiglia tanto alla frase di Einstein citata all’inizio?

Possiamo dedurne che il modo con cui apprendiamo nella vita è, almeno in prima battuta, per niente  razionale. Dopo esperienza viva, più o meno lunga, riusciamo a tramutarla in conoscenza razionale, e trasmissibile a parole e poi anche in numeri. Numeri, cioè computabile. Un calcolatore computa, infatti in inglese lo chiamiamo “computer”, cioè che fa dei calcoli.

Neuroni e computer

Il calcolatore più veloce della terra riesce ad eguagliare la potenza di calcolo di un cervello umano: sono dunque uguali? Funzionano cioè nello stesso modo? Neanche per idea: quel computer deve essere alimentato da una potenza di 20 Megawatt (cioè da 20 milioni di watt), mentre il cervello umano fornisce le stesse capacità di calcolo con soli 20 watt.
Il computer, per dare le stesse prestazioni, ha bisogno di UN MILIONE di volte in più la potenza che basta a un cervello umano. Da questo paragone sorge subito la prima risposta: il cervello umano funziona in modo di certo diverso, rispetto a quel computer.

Stanno andando avanti con studi ed esperimenti sull’intelligenza artificiale; internet con la sua massa sterminata di dati sta consentendo ai computer di usare algoritmi che consentono loro di apprendere (pensiamo per esempio ai traduttori automatici da una lingua all’altra), ma non sappiamo esattamente come apprendano. Si ripropone la stessa incertezza per il cervello umano: come apprende?

L’unica cosa che sappiamo è che, nel primo anno di vita, un essere umano impara tanto quanto non sarà più capace di fare da bambino, da giovane o da adulto. Sappiamo che nei primi tre anni di vita apprenderà una mole di dati superiore a quella che apprenderà nel resto della sua vita. Eppure non si può dire che un essere umano, nei suoi primi tre anni di vita, sia razionale!

La conquista della razionalità è qualcosa che si comincia a irrobustire solo dopo la pubertà; e non si può dire che tutti gli esseri umani la esercitino in egual misura. Esistono anzi studi di Psicologia che dimostrano che anche l’adulto utilizza delle euristiche (scelte probabilistiche), nate con l’abitudine, che molte volte svolgono egregiamente il compito di farci vivere bene ma che, non essendo propriamente razionali, in certe situazioni rischiano di portarci al disastro.

Evoluzione verso la conoscenza: la curiosità è il motore

Perché il bimbo impara così tanto in così poco tempo (1-3 anni) ?

Per almeno due motivi:

  • Il numero di neuroni del suo cervello, nel primo anno di vita, aumenta con grande impeto. Sempre più neuroni entrano nel processo di apprendimento. Aumenta la potenza di calcolo; tale vorticoso incremento non si ripeterà mai più durante la vita.
  • Avete mai osservato un bimbo? Quando non ha sonno o fame, ha una capacità straordinaria di attenzione e di concentrazione. Là dove la curiosità del nuovo, e dell’ignoto a lui, cattura la sua attenzione e concentrazione è difficile distoglierlo o distrarlo. Se l’adulto vuol mantenersi giovane, deve cercare di conservare il più possibile l’attenzione e la concentrazione di un bimbo. Lo Yoga e la meditazione sono dei modi con cui l’adulto può andare oltre ciò che conosce: là dove, al di fuori di una stanca routine, si riaccende la curiosità dell’ignoto (come nel bimbo) e si riattivano l’attenzione e la concentrazione, si riattivano anche i neuroni e il cervello.

La cosa “giusta” e la cosa “sbagliata”

Una volta lessi che la conoscenza e una Laurea servono, in una determinata situazione della vita, non tanto per fare la cosa “giusta”, quanto piuttosto per evitare di fare quella sbagliata. Come dire, insomma, che poiché ciò che conosciamo è veramente una piccola parte di tutta la realtà, allora è molto più importante essere capaci di farsi domande, piuttosto che accumulare risposte che potrebbero darci la falsa sensazione di sicurezza di sapere sempre cosa è meglio fare. Un’accumulo, una tesaurizzazione di statiche risposte razionali rischia di sclerotizzarci la mente (“IO SO: SEDUTO!”), mentre il dubbio sistematico ci obbliga a essere dinamici: le domande ci obbligano ad essere attivi, vivi, dinamici. Mi viene da citare anche Pablo Picasso che una volta disse: “I computer, per me, non hanno alcun interesse. Sanno solo dare risposte, ma non sanno fare domande”.

L’Anamnesi

In Medicina esiste l’arte dell’Anamnesi: vale per il Medico Chirurgo, vale per il Medico Odontoiatra.

La parola anamnesi è composta da un prefisso “an” che indica privazione, più la parola amnesia, la quale indica una persona che non riesce a ricordare qualcosa.

Mettendole insieme ne risulta che l’Anamnesi è l’arte del medico di saper porre al paziente le giuste domande affinché riesca a ricordare e a raccontare al medico le vie attraverso le quali è arrivato ad ammalarsi. In facoltà di Medicina ci insegnarono che una buona anamnesi vale già mezza diagnosi fatta.

Ciò che il paziente ascolta sono le domande che il medico gli rivolge durante l’Anamnesi.

Ciò che il paziente non sente sono le domande che il medico rivolge a se stesso, prima di formulare le domande a lui.

Sono due livelli diversi di domande: quelle rivolte al paziente hanno, almeno in sembianza, un carattere razionale (il medico DEVE rendersi comprensibile affinché il paziente comprenda cosa gli si sta chiedendo); ma le domande che il medico pone a se stesso possono essere (e spesso sono)  a puro livello intuitivo. E torniamo ai modi del conoscere e dell’apprendere che più sopra esemplificavo negli esperimenti con le carte.

Un paziente molto attento può anche riuscire a percepire in quali momenti il medico fa a se stesso delle domande: sono i momenti di pausa, di sospensione, i suoi silenzi, gli apparenti dubbi.

Ed invero vi sono anche dubbi, ed è dai dubbi che sorgono le domande.

“Se sapessimo (esattamente) quel che stiamo facendo, non la chiameremmo ricerca”             (Albert Einstein)